15 minuti di celebrità: conversazione con Andy Warhol

UN TUFFO NELLA POP ART

di Paola Valori

La parrucca è stata battuta nel 2006 all'asta per un valore di 10.800 dollari

Incontro Andy Warhol un pomeriggio di settembre a New York. Sono piena di adrenalina mentre varco la soglia della Factory, leggendario tempio della Pop Art.

Salgo al quinto piano di un palazzo sulla 47esima Strada, è un loft di 600 metri quadrati con pareti bianche, illuminate da luci al neon. Lo spazio è pieno di opere d'arte, serigrafie, sculture e installazioni. Cè musica ad alto volume. E’ un posto caotico e brulicante di vita, pieno di artisti e di personaggi eccentrici. Mi faccio strada in cerca di Andy. Finalmente lo intravedo in una stanza appartata, seduto su una poltrona rossa.

Indossa il suo iconico abito nero e ha una parrucca bionda platino. Legge una rivista, ha un paio di occhiali con lenti enormi che coprono metà del suo viso. Alza lo sguardo al mio ingresso. I suoi occhi azzurri glaciali si posano su di me mentre mi avvicino. Si alza con un sorriso teso, un'aura androgina che lo avvolge. Mi invita a sedersi su un divano di fronte a lui, con un tono di voce calmo e pacato, quasi monotono. Si interrompe spesso e usa intercalari come "uhm" e "you know". L’aria è carica di tensione e le domande che ho preparato con cura mi bruciano sulla lingua.

Andy, benvenuto a “Amici Immortali”… La tua arte ha rivoluzionato il mondo. Come ti senti ad essere considerato il padre della Pop Art? Warhol: Non ho mai pensato di essere un rivoluzionario. Ho solo fatto quello che mi piaceva. Volevo creare un'arte che fosse accessibile a tutti, non solo all'élite.

Pop Art. Cosa significa per te? Warhol: La Pop Art è l'arte del popolo. È l'arte che celebra le cose quotidiane, come le zuppe Campbell o le bottiglie di Coca-Cola. È l'arte che rende accessibile a tutti la bellezza.

Tra cent’anni, come ti vedi? Un guru della Pop Art venerato o un dinosauro dimenticato? Warhol: (ride) Tra un secolo sarò ancora qui, ovviamente. Preservato sottovuoto come una Campbell's Soup, pronto ad essere esposto in un museo o magari proiettato in ologramma. Il futuro è imprevedibile, come una performance di Edie Sedgwick, ma una cosa è certa… voglio che la mia arte continui a fare rumore con le generazioni a venire.

E qual è l'eredità che vuoi lasciare? Warhol: So quello che dice la gente: Warhol l'edonista, Warhol il consumista, Warhol che glorificava la superficialità. Ma la mia Pop Art va più in profondità. È un riflesso sul mondo dei media, delle icone, del consumismo, certo. È un invito a guardare con ironia, a trovare la bellezza e il fascino nell'ordinario, nel pop appunto.

“Nel futuro ognuno sarà famoso nel mondo per 15 minuti”. Andy Warhol

Andy, la tua Factory brulica di creatività e trasgressione. Si dice che le droghe siano un ingrediente chiave per la vostra ispirazione. È vero? Warhol: La Factory è un luogo di grande fermento creativo. E come in tutte le grandi fucine di idee, c'è di tutto: artisti, modelle, intellettuali... e sì, anche qualche droga

Sei un'icona, un artista geniale, un provocatore... ma c'è qualcosa che ti fa paura? Warhol: Tesoro, la morte. Mi fa davvero paura. E l'unica vera popstar. Tutti ne parlano, ma nessuno l'ha mai incontrata davvero

E come la combatti? Warhol: Con la fede. Dio è per me come una coperta di Linus, mi rassicura e mi dà speranza

Ma la Chiesa non è un po' troppo... vintage per te? Warhol: La Chiesa non è sempre stata accogliente con persone come me. Ma sai, Dio ha un senso dell'umorismo divino. Mi ha creato gay e popstar proprio per confondere un po' le cose

Qual è stato il ruolo di tua madre, Julia Warhola, nel tuo percorso? Warhol: Era una donna straordinaria. Era forte, indipendente e aveva una grande passione per l'arte. È stato grazie a lei che ho avuto il coraggio di trasferirmi a New York e di inseguire il mio sogno di diventare un artista.

L’opera di Andy Warhol, Campbell’s Soup - Chicken Noodle Soup è una serigrafia su carta in edizione limitata firmata in originale dall’artista. È datata 1985.

Tutti conosciamo la tua celebre frase "Nel futuro ognuno sarà famoso al mondo per quindici minuti". Ma cosa significa davvero? È una profezia, un auspicio, una semplice constatazione? Warhol: Voglio immaginare un futuro in cui tutti saranno famosi per quindici minuti. Un mondo in cui tutti avranno la possibilità di brillare, anche se solo per un breve istante. Un vero e proprio "quarto d'ora di celebrità" per dirla con l'amico Salvador Dalì..

C'è un ritratto a cui sei particolarmente legato? Warhol: (dopo una pausa di riflessione) Forse il ritratto di Marilyn Monroe. Era un'anima fragile, tormentata dalla fama. I suoi occhi nascondevano un dolore immenso. E’ stato come catturare un fantasma, un'anima perduta nella sua stessa bellezza.

La tua relazione con Basquiat è stata una delle più chiacchierate dell'epoca. Come la descriveresti? Warhol: Era un continuo scambio di idee, di ispirazione, di energia. La sua morte è stata una ferita profonda che ancora porto con me. Ci divertivamo a giocare con i simboli, con le parole, con i significati. Non sempre era facile, certo. Basquiat era un vulcano di idee, a volte era difficile seguirlo. Ma era proprio questo che rendeva la nostra collaborazione così speciale. Eravamo due mondi diversi che si incontravano e si contaminavano a vicenda. E da questa contaminazione nacque qualcosa di nuovo, di magico.

Grazie Andy, per questa intervista a dir poco... Warholiana! Warhol: Grazie a te baby. Ma shhh... non sei mai stata qui. Era solo un sogno pop, un vortice di immaginazione. Ora svegliati e spargi la voce: Andy Warhol è più vivo che mai, e la Pop Art è immortale…

Prima di andare via Andy mi regala una serigrafia di una delle sue opere più famose, le Campbell's Soup Cans. La custodisco ancora oggi come un prezioso ricordo di quell'incontro speciale.


© Copyright Paola Valori Riproduzione vietata di testo e immagini / Questa intervista è protetta da copyright. La riproduzione, anche parziale, è vietata senza il consenso dell'autore.