Sulla soglia dell'eternità: intervista a Vincent van Gogh

L’ANIMA TORMENTATA DI UN GENIO

di Paola Valori

Vincent Portrait, omaggio a Van Gogh (opera digitale, ©PaolaValori 2024)

Arles, Provenza. Primavera.

E’ primavera. Sento l’aria frizzante mentre varco la soglia dello studio di Vincent Van Gogh. Un'ebbrezza di trementina e olio di lino invade le mie narici, preludio all'esplosione di colori che mi attende.

Le pareti gialle, sbiadite dal sole e decorate da stampe giapponesi, raccontano di un animo inquieto. Il pavimento in legno, cosparso di schizzi di colore e pennelli usati, testimonia la furia artistica che qui si sprigiona. Un letto disfatto in un angolo, con lenzuola sgualcite di un giallo intenso, evoca la vita spartana del pittore.

Vincent appare davanti a me. Un uomo dall'aspetto fragile e tormentato, con occhi azzurri che brillano di intensità. Indossa una semplice camicia a righe e un cappello di feltro. La sua barba folta e ispida, di un rosso intenso che vira al rame, non è curata, né tantomeno ordinata, ma è un tratto distintivo che lo rende immediatamente riconoscibile.

L'intervista

Mi aggiro per lo studio con curiosità, attratta dalle tele accatastate e dai disegni che vestono le pareti. Vincent mi parla con trasporto del suo lavoro, della sua ricerca della bellezza, della sua lotta contro la solitudine. Io lo ascolto con attenzione, rapita dalla sua sincerità.

Dalle sue parole emerge un ritratto intimo di un artista tormentato. Un uomo che vive in simbiosi con la natura, traendo ispirazione dai paesaggi provenzali e dai cieli infuocati. Un uomo che combatte contro i demoni interiori, cercando nella pittura un sollievo alla sua sofferenza.

Ciao Vincent, benvenuto ad Amici Immortali. I girasoli... un'ossessione? Un simbolo? Van Gogh: Più di un'ossessione. Sono una sfida, un modo per catturare la luce e la vita stessa. E poi, sai, la loro semplicità mi parla di umiltà, di radici profonde nella terra.

Da dove nasce la tua inquietudine? Van Gogh: Forse dalla solitudine. Un artista incompreso, perennemente alla ricerca di un posto nel mondo.

Eppure, hai dipinto capolavori che illuminano il mondo. Come trovi la forza di creare in mezzo al buio? Van Gogh: La pittura è la mia salvezza, la mia terapia. Quando dipingo, dimentico tutto. I colori diventano le mie emozioni, la tela il mio specchio.

Hai un rapporto difficile con tuo fratello Theo. Che peso ha nella tua vita? Van Gogh: Theo è il mio pilastro, il mio confidente. Mi sostiene economicamente e, soprattutto, crede in me. Senza di lui, forse non avrei mai dipinto.

Vincent, so che è un argomento delicato e non vorrei turbarti. Però, se ti va, mi piacerebbe capire meglio... il tuo orecchio. Perché te lo sei tagliato? Van Gogh: È una storia complessa… Un periodo buio della mia vita, pieno di tormenti interiori. Soffrivo di solitudine e di una profonda inquietudine.

E il tuo amico Gauguin, che ruolo ha avuto in questa vicenda? Van Gogh: Paul era un amico e un collega, con cui condividevo la passione per l'arte. Ma la nostra convivenza era difficile, entrambi eravamo anime tormentate, nervose, inclini a scontri accesi e incomprensioni.

La tua salute mentale è fragile. Come influisce sulla tua arte? Van Gogh: Ah, la mia follia... un diavolo che mi tormenta e una musa che mi ispira. Forse è un dono e una maledizione allo stesso tempo. Non lo so. È la mia luce e la mia ombra.

Non cerchi la fama, non ti curi del giudizio altrui. Dipingi per sopravvivere, per dare un senso al tuo dolore. Van Gogh: Non ho tempo per la fama, né per il giudizio altrui. Dipingo per urlare contro il silenzio.

Se potessi tornare indietro, cosa faresti di diverso? Van Gogh: Dipingere. Dipingere di più, con più foga, con più furore. Cieli infuocati, notti stellate, campi di grano dorati, mari di luce, girasoli che brillano di sole. Tutto questo, e solo questo.

Vincent, un'ultima domanda per chiudere: qual è il segreto per creare un'opera d'arte immortale? Van Gogh: Non cercare la perfezione, cerca l'autenticità e lascia che il tuo fuoco interiore guidi il pennello.

Mentre il sole calava sulla Provenza, ci siamo salutati con un abbraccio fraterno. Due anime diverse, unite per un breve istante dalla magia dell'arte. Andando via, tra i campi di lavanda  mi sono voltata indietro una volta sola.  Sapevo che non avrei mai dimenticato quell'incontro. 


© Copyright Paola Valori Riproduzione vietata di testo e immagini / Questa intervista è protetta da copyright. La riproduzione, anche parziale, è vietata senza il consenso dell'autore.

15 minuti di celebrità: conversazione con Andy Warhol

UN TUFFO NELLA POP ART

di Paola Valori

La parrucca è stata battuta nel 2006 all'asta per un valore di 10.800 dollari

Incontro Andy Warhol un pomeriggio di settembre a New York. Sono piena di adrenalina mentre varco la soglia della Factory, leggendario tempio della Pop Art.

Salgo al quinto piano di un palazzo sulla 47esima Strada, è un loft di 600 metri quadrati con pareti bianche, illuminate da luci al neon. Lo spazio è pieno di opere d'arte, serigrafie, sculture e installazioni. Cè musica ad alto volume. E’ un posto caotico e brulicante di vita, pieno di artisti e di personaggi eccentrici. Mi faccio strada in cerca di Andy. Finalmente lo intravedo in una stanza appartata, seduto su una poltrona rossa.

Indossa il suo iconico abito nero e ha una parrucca bionda platino. Legge una rivista, ha un paio di occhiali con lenti enormi che coprono metà del suo viso. Alza lo sguardo al mio ingresso. I suoi occhi azzurri glaciali si posano su di me mentre mi avvicino. Si alza con un sorriso teso, un'aura androgina che lo avvolge. Mi invita a sedersi su un divano di fronte a lui, con un tono di voce calmo e pacato, quasi monotono. Si interrompe spesso e usa intercalari come "uhm" e "you know". L’aria è carica di tensione e le domande che ho preparato con cura mi bruciano sulla lingua.

Andy, benvenuto a “Amici Immortali”… La tua arte ha rivoluzionato il mondo. Come ti senti ad essere considerato il padre della Pop Art? Warhol: Non ho mai pensato di essere un rivoluzionario. Ho solo fatto quello che mi piaceva. Volevo creare un'arte che fosse accessibile a tutti, non solo all'élite.

Pop Art. Cosa significa per te? Warhol: La Pop Art è l'arte del popolo. È l'arte che celebra le cose quotidiane, come le zuppe Campbell o le bottiglie di Coca-Cola. È l'arte che rende accessibile a tutti la bellezza.

Tra cent’anni, come ti vedi? Un guru della Pop Art venerato o un dinosauro dimenticato? Warhol: (ride) Tra un secolo sarò ancora qui, ovviamente. Preservato sottovuoto come una Campbell's Soup, pronto ad essere esposto in un museo o magari proiettato in ologramma. Il futuro è imprevedibile, come una performance di Edie Sedgwick, ma una cosa è certa… voglio che la mia arte continui a fare rumore con le generazioni a venire.

E qual è l'eredità che vuoi lasciare? Warhol: So quello che dice la gente: Warhol l'edonista, Warhol il consumista, Warhol che glorificava la superficialità. Ma la mia Pop Art va più in profondità. È un riflesso sul mondo dei media, delle icone, del consumismo, certo. È un invito a guardare con ironia, a trovare la bellezza e il fascino nell'ordinario, nel pop appunto.

“Nel futuro ognuno sarà famoso nel mondo per 15 minuti”. Andy Warhol

Andy, la tua Factory brulica di creatività e trasgressione. Si dice che le droghe siano un ingrediente chiave per la vostra ispirazione. È vero? Warhol: La Factory è un luogo di grande fermento creativo. E come in tutte le grandi fucine di idee, c'è di tutto: artisti, modelle, intellettuali... e sì, anche qualche droga

Sei un'icona, un artista geniale, un provocatore... ma c'è qualcosa che ti fa paura? Warhol: Tesoro, la morte. Mi fa davvero paura. E l'unica vera popstar. Tutti ne parlano, ma nessuno l'ha mai incontrata davvero

E come la combatti? Warhol: Con la fede. Dio è per me come una coperta di Linus, mi rassicura e mi dà speranza

Ma la Chiesa non è un po' troppo... vintage per te? Warhol: La Chiesa non è sempre stata accogliente con persone come me. Ma sai, Dio ha un senso dell'umorismo divino. Mi ha creato gay e popstar proprio per confondere un po' le cose

Qual è stato il ruolo di tua madre, Julia Warhola, nel tuo percorso? Warhol: Era una donna straordinaria. Era forte, indipendente e aveva una grande passione per l'arte. È stato grazie a lei che ho avuto il coraggio di trasferirmi a New York e di inseguire il mio sogno di diventare un artista.

L’opera di Andy Warhol, Campbell’s Soup - Chicken Noodle Soup è una serigrafia su carta in edizione limitata firmata in originale dall’artista. È datata 1985.

Tutti conosciamo la tua celebre frase "Nel futuro ognuno sarà famoso al mondo per quindici minuti". Ma cosa significa davvero? È una profezia, un auspicio, una semplice constatazione? Warhol: Voglio immaginare un futuro in cui tutti saranno famosi per quindici minuti. Un mondo in cui tutti avranno la possibilità di brillare, anche se solo per un breve istante. Un vero e proprio "quarto d'ora di celebrità" per dirla con l'amico Salvador Dalì..

C'è un ritratto a cui sei particolarmente legato? Warhol: (dopo una pausa di riflessione) Forse il ritratto di Marilyn Monroe. Era un'anima fragile, tormentata dalla fama. I suoi occhi nascondevano un dolore immenso. E’ stato come catturare un fantasma, un'anima perduta nella sua stessa bellezza.

La tua relazione con Basquiat è stata una delle più chiacchierate dell'epoca. Come la descriveresti? Warhol: Era un continuo scambio di idee, di ispirazione, di energia. La sua morte è stata una ferita profonda che ancora porto con me. Ci divertivamo a giocare con i simboli, con le parole, con i significati. Non sempre era facile, certo. Basquiat era un vulcano di idee, a volte era difficile seguirlo. Ma era proprio questo che rendeva la nostra collaborazione così speciale. Eravamo due mondi diversi che si incontravano e si contaminavano a vicenda. E da questa contaminazione nacque qualcosa di nuovo, di magico.

Grazie Andy, per questa intervista a dir poco... Warholiana! Warhol: Grazie a te baby. Ma shhh... non sei mai stata qui. Era solo un sogno pop, un vortice di immaginazione. Ora svegliati e spargi la voce: Andy Warhol è più vivo che mai, e la Pop Art è immortale…

Prima di andare via Andy mi regala una serigrafia di una delle sue opere più famose, le Campbell's Soup Cans. La custodisco ancora oggi come un prezioso ricordo di quell'incontro speciale.


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